Demoricostruzione, smussata la tesi della “continuità” tra il nuovo e il precedente edificio

Dopo la decisione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia del 3.6.2025, n. 422 (v., in merito, l’articolo del 20.6.2025 “Demoricostruzione: ammessa la ricostruzione anche a centinaia di metri di distanza“; link), ecco un’altra pronuncia che si discosta, benché con taluni distinguo, dall’indirizzo restrittivo che – disattendendo il dato letterale della definizione di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/2001 – pretenderebbe invece il mantenimento di una sorta di omogeneità tra il fabbricato preesistente e quello ricostruito.

Si è espresso, invero, in questo senso il Consiglio di Stato, sez. II, con la sentenza del 4.11.2025, n. 8542 (link), delineando il perimetro dell’intervento di demoricostruzione, nella consapevolezza che si tratta di un istituto essenziale “per perseguire obiettivi di rigenerazione urbana, contenimento del consumo di suolo, incentivazione degli investimenti”.

Ebbene, sono tre i profili reputati essenziali per ricondurre le operazioni di demoricostruzione nell’alveo della ristrutturazione edilizia.

Nello specifico, “non può pretendersi una <continuità> tra il nuovo edificio e quello precedente se non nella misura in cui per essa s’intenda il doveroso rispetto dei requisiti… dell’unicità dell’immobile interessato dall’intervento, della contestualità tra demolizione e ricostruzione, del mero utilizzo della volumetria preesistente senza ulteriori trasformazioni della morfologia del territorio”.

Pertanto “il superamento di uno solo di questi limiti comporterebbe di per sé solo la qualificazione dell’intervento come <nuova costruzione>”.

E, nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato, legata alle note inchieste milanesi, si sono ritenuti superati tutti i limiti prescritti.

In particolare, è stato affermato che:

  1. l’unicità dell’immobile considerato sarebbe stata frustrata dall’accorpamento di volumi estranei all’edificio principale, dal momento che “l’accorpamento della volumetria della pertinenza a quella dell’edificio principale viola il limite della <neutralità> dell’intervento di <demoricostruzione>, perché, mentre in origine l’impatto sul territorio era limitato al fabbricato principale (proprio per l’irrilevanza della volumetria espressa dalla pertinenza), con la ricostruzione si addiverrebbe a un immobile che presenta una volumetria e un’incidenza maggiore sul territorio”; in altre parole, “è precluso – meglio, esorbita dall’ambito della <ristrutturazione ricostruttiva> – l’accorpamento di volumi precedentemente espressi da manufatti diversi ovvero il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione”;
  2. non vi sarebbe stata continuità temporale, dato che l’edificio preesistente è stato demolito nel 2018, mentre la ricostruzione sarebbe intervenuta in seguito, in forza di SCIA alternativa al permesso di costruire del 2022; al riguardo, si è ricordato che “la definizione di <ristrutturazione> mediante demolizione e ricostruzione presuppone la contestualità tra le due attività, nel senso che entrambe devono essere realizzate in forza di un unico titolo legittimante (anche al fine di consentire al Comune di verificare l’esatta consistenza del fabbricato preesistente prima che ne inizi la demolizione)”; e nemmeno sarebbe possibile ricondurre l’intervento in questione al ripristino di edifici crollati o demoliti, poiché questa distinta ipotesi presupporrebbe che “il privato dimostri la preesistente consistenza dell’immobile mediante elementi oggettivi”;
  • il limite della neutralità sarebbe oltrepassato anche per la “realizzazione di lavori ulteriori rispetto al mero recupero del volume preesistente”, quali le “opere di sbancamento del terreno, costruzione del muro di contenimento e realizzazione del seminterrato, della rampa carraia e della sede viaria di collegamento”; lavori che, secondo il Consiglio di Stato, “non si limitano a quanto strettamente funzionale a riutilizzare la volumetria disponibile”.

Queste, in sintesi, le – francamente discutibili – ragioni che hanno portato alla riqualificazione dell’intervento come “nuova costruzione”, con tutte le conseguenze pregiudizievoli anche in termini di rispetto delle distanze legali in un contesto già urbanizzato.

Inutile dire quanto diventi sempre più urgente un intervento chiarificatore da parte del Legislatore, affinché gli operatori del settore possano valutare in via preventiva la sostenibilità delle (delicate) ipotesi di rigenerazione urbana, altrimenti affossate da un orientamento giurisprudenziale a dir poco ondivago.