Demoricostruzione: ammessa la ricostruzione anche a centinaia di metri di distanza.

L’ormai consolidata interpretazione restrittiva da parte della giurisprudenza della nozione di demoricostruzione si è incrinata per effetto della pronuncia del CGARS del 3.6.2025, n. 422 (link).

Invero, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, prendendo le distanze dall’indirizzo maggioritario (v. sul punto, l’articolo del 24.7.2023 “No al consumo di suolo nella traslazione di sedime correlata alla demo ricostruzionelink) ha finalmente fornito una lettura della fattispecie di intervento più aderente al più volte riformato dettato normativo.

Occorre ricordare, del resto, che con d.l. n. 76/2020, cd. Decreto Semplificazioni, era stato riformulato l’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/2001, stabilendo che “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.

Nel riformare la sentenza del TAR per la Sicilia, sez. II, n. 2409/2023, è stato di fatto ritenuto ammissibile un intervento di demolizione di un fabbricato preesistente, con traslazione della volumetria dell’immobile demolito in altra area posta a circa metri 131,30 dal punto più vicino e metri 245,85 dal punto più lontano”.

Mentre il TAR aveva negato tale facoltà invocando, da un lato, la supposta esigenza di continuità tra la nuova opera e quella precedente alla demolizione e, dall’altro, il divieto di consumo di nuovo suolo (sul presupposto che sarebbe stata soltanto ampliata la possibilità di riutilizzare il suolo già consumato e non anche suolo non urbanizzato), il CGARS ha viceversa valorizzato gli effetti della riforma normativa, secondo cui adesso la ristrutturazione edilizia deve concepirsi nel rispetto della “rinnovata ottica desumibile dal tenore testuale della disposizione in esame volta a non vincolarla ai precedenti requisiti presupponenti una rigida “continuità” tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del manufatto da realizzare, ivi inclusa l’area di edificazione”.

D’altro canto, “la nozione di sedime richiamata nella nuova formulazione dell’art. 3 lett. d) D.P.R. n. 380/2001 è, infatti, molto generica e non riporta alcuna specificazione”; da qui, “l’impossibilità di limitarne il concetto all’ambito perimetrale di un determinato lotto.

Dal momento che, prosegue il CGARS, “il legislatore si è limitato soltanto ad ammettere la ristrutturazione anche in caso di ricostruzione di un manufatto preesistente su un diverso “sedime”, ossia su un’area diversa da quella originariamente occupata dal manufatto da demolire e ricostruire, deve ritenersi possibile, in assenza di specifiche indicazioni contrarie, siffatta attività edificatoria anche mediante l’utilizzo di un’area diversa, anche se appartenente ad un altro lotto”.

Sicché, “la riconosciuta possibilità di demolire un fabbricato esistente e di ricostruirlo su un’altra area, ossia su un diverso sedime, non può ritenersi soggetta ai limiti dimensionali del terreno originariamente interessato dalla costruzione da ristrutturare, potendo, dunque, ammettersi la ricostruzione anche altrove, ossia in un diverso lotto, pur sempre nel rispetto delle capacità edificatorie proprie di quest’ultimo”.

E, “in tal senso depone il novero degli elementi di novità che possono contraddistinguere l’edificio ristrutturato, potendo, invero, quest’ultimo differire da quello originario per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, al punto da potersi desumere la volontà del legislatore di superare quell’originaria relazione di continuità strutturale che doveva necessariamente contraddistinguere l’immobile ricostruito rispetto a quello demolito”.

Nemmeno, secondo il Consiglio di giustizia amministrativa, “può ritenersi che la nuova concezione della ristrutturazione edile implichi “consumo di nuovo suolo”, poiché la scelta di ricostruire altrove presuppone pur sempre la necessità di demolire da un’altra parte e, pertanto, postula un bilanciamento tra l’edificio da realizzare e quello da eliminare”.

Il che, conclude il CGARS, segna “l’elemento distintivo della nuova ristrutturazione edile … rispetto alla nuova costruzione …, poiché la prima presuppone pur sempre la demolizione di un preesistente manufatto a differenza della seconda che si afferma quale categoria residuale comprendente gli interventi non riconducibili in altre casistiche e, quindi, anche l’attività edificatoria del tutto autonoma ed indipendente da eventuali preesistenti edifici da demolire”.

L’auspicio è dunque che anche altre autorità giudiziarie seguano questa illuminata lettura (letterale) della norma, essendo indubbio che il legislatore nei plurimi interventi di riforma ha inteso proprio abbandonare quel principio di continuità che ora in talune pronunce si vorrebbe riaffermare, andando però così a pregiudicare numerosi interventi di rigenerazione urbana.

Non a caso, anche nel disegno di legge del cd. Salva Milano, poi naufragato per altri motivi, era stata inserita una previsione di interpretazione autentica volta a confermare un dato letterale (ma sconfessato da talune sentenze; v., sul punto, l’articolo del 10.2.2023 “Demoricostruzione, la Cassazione penale impone un passo indietro”, link), ovverosia che la categoria della ristrutturazione edilizia comprende anche interventi di demoricostruzione con diversi prospetti, sagoma, sedime e caratteristiche planivolumetriche.