Decadenza del Permesso di costruire: le opere incompiute devono essere demolite

La sentenza del 30.7.2024, n. 4 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (link) ha determinato un vero e proprio terremoto sulla questione degli effetti derivanti dalla decadenza del permesso di costruire.

L’orientamento prevalente, invero, si è sempre espresso nel senso che l’eventuale mancata ultimazione dei lavori nel termine triennale non consentirebbe la demolizione del manufatto, operando l’effetto decadenziale ex nunc (e non ex tunc) e lasciando pertanto salve le opere a tale data già realizzate.

Ciò in virtù di una consolidata interpretazione dell’art. 15 del d.p.r. n. 380/2001, secondo cui la decadenza impedisce solo l’ulteriore corso dei lavori ma non determina illiceità urbanistica di quanto già realizzato nella vigenza del titolo edificatorio (v., tra le altre, Cons. Stato n. 8605/2019).

Di segno contrario è invece la pronuncia dell’Adunanza Plenaria a cui è stato sottoposto il seguente quesito: “quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio”.

Va detto che già in primo grado il Tar Campania aveva affermato che “l’ammettere che a seguito della decadenza possano in ogni caso restare in loco le opere incompiute significherebbe riconoscere che il titolare del permesso di costruire avrebbe il diritto di non completare l’opera e di lasciarla incompiuta e funzionalmente non autonoma, con ingiustificato deturpamento del contesto circostante”.

Sposando tale lettura, l’Adunanza Plenaria ha osservato come quando il manufatto sia stato parzialmente edificato con il cd. “scheletro”, “il risultato finale consiste in una struttura che non è riferibile a quella assentita”.

Sicché, “nei casi di divergenza tra consentito e realizzato rientra [anche] il non finito architettonico, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato, oppure quando vi è stata la modifica dello stato dei luoghi con la realizzazione di un quid che neppure consenta di ravvisare un volume”.

D’altro canto, “il permesso di costruire consente di realizzare solo l’opera descritta nel progetto e avente caratteristiche fisiche funzionali ben determinate”.

Ne deriva che, “sussiste il fondamento normativo per disporre la restituzione in pristino – in caso di decadenza del permesso di costruire – qualora siano state eseguite solo opere parziali, non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale funzionale”.

In altre parole, sempre seguendo l’interpretazione restrittiva dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, “rileva un principio di simmetria, per il quale, così come l’amministrazione non può di certo rilasciare un permesso per realizzare uno scheletro o parte di esso…, corrispondentemente l’amministrazione deve ordinare la rimozione dello scheletro che risulti esistente in conseguenza della decadenza del permesso di costruire”.

In conclusione, il principio di diritto riportato nella sentenza è il seguente:

“- in caso di realizzazione, prima della decadenza del permesso di costruire, di opere non completate, occorre distinguere a seconda se le opere incomplete siano autonome e funzionali oppure no;

– nel caso di costruzioni prive dei suddetti requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire;

– qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati – ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate – devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire;

– qualora invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.;

– è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica”.

Ed è assai probabile che questa inversione di rotta della giurisprudenza amministrativa possa determinare non pochi problemi applicativi, fatta salva l’ipotesi della conformità dell’opera anche alla disciplina urbanistica nel frattempo eventualmente sopravvenuta che potrebbe consentire il richiamo alla procedura di sanatoria prevista, oltre che dal richiamato art. 36, anche dal nuovo art. 36-bis.