Abusi “storicizzati” ante 1977 (e 1967), la Corte Costituzionale nega la regolarizzazione

Il sopravvenuto obbligo di asseverazione dello stato legittimo stabilito dall’art. 9-bis, comma 1-bis, d.p.r. n. 380/2001 (introdotto dal Decreto Semplificazioni n. 76/2020) sta facendo emergere una serie di irregolarità, soprattutto sugli immobili risalenti, per nulla prevedibile.

Ci si riferisce, in particolare, alla prassi diffusa per gli interventi ante 1977 (dunque, precedenti alla legge Bucalossi n. 10/1977) di eseguire varianti in corso d’opera alle licenze edilizie rilasciate senza l’ottenimento di ulteriori titoli edilizi, rimandando poi talvolta all’autorizzazione di abitabilità (o agibilità) il riepilogo di quanto in effetti eseguito.

Per non parlare delle opere effettuate ante 1967 (ovverosia prima dell’entrata in vigore della legge n. 765/1967), spesso sprovviste persino della licenza edilizia iniziale.

Nel tentativo di porre rimedio a tale vuoto normativo, avvertito da tecnici e proprietari – spesso persino ignari della sussistenza di difformità nei loro fabbricati -, la l.r. Veneto n. 19/2021 ha introdotto una disciplina volta a regolarizzare gli abusi cd. “storicizzati”, inerenti quindi ad immobili risalenti, per i quali è ragionevole supporre vi fosse all’epoca una sorta di prassi legittimante.

Nello specifico, la normativa regionale ha previsto che:

  • per gli immobili antecedenti al 30.1.1977, che abbiano formato oggetto di variazioni non essenziali, qualora detti immobili siano in proprietà o in disponibilità di soggetti non autori delle variazioni non essenziali e siano dotati di certificato di abitabilità o agibilità, lo stato legittimo “coincide con l’assetto dell’immobile al quale si riferiscono i predetti certificati, fatta salva l’efficacia di eventuali interventi successivi attestati da validi titoli abilitativi”;
  • per gli immobili antecedenti al 1.9.1967, realizzati in zone esterne ai centri abitati o alle zone di espansione, previste da eventuali piani regolatori, la condizione di stato legittimo “è attestata dall’assetto dell’edificio realizzato entro quella data e adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l’eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in attuazione di piani, regolamenti o provvedimenti di carattere generale comunque denominati, di epoca precedente”.

Benché la definizione delle posizioni pregresse fosse auspicata da molti, a tutela delle aspettative qualificate dei proprietari “incolpevoli”, la Corte Costituzionale con sentenza del 21.10.2022, n. 217 (link), ha dichiarato incostituzionale la scelta regionale di attutire la rigidità della nozione di stato legittimo.

Infatti, nel qualificare come principio fondamentale della materia il richiamato art. 9-bis, comma 1-bis, la Consulta ha ritenuto:

  • non convincente “l’argomentazione sviluppata dalla difesa regionale, secondo la quale, prima dell’entrata in vigore della legge n. 10 del 1977, le variazioni non essenziali, in quanto non disciplinate, sarebbero state per prassi consentite, fatta salva la semplice ispezione compiuta in vista del rilascio del certificato di abitabilità ex art. 221 del regio decreto 27.7.1934, n. 1265”;
  • che già la “legislazione statale antecedente al 1977 – in particolare la legge urbanistica n. 1150 del 1942, sia nel suo testo originario sia in quello innovato dalla legge n. 765 del 1967” prevedesse che “il committente titolare della licenza, il direttore dei lavori (quest’ultimo a partire dalla disciplina introdotta nel 1967), nonché l’assuntore dei lavori fossero <responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione>”;
  • contestabile l’associazione dello “stato legittimo dell’immobile a un documento – il certificato di abitabilità o agibilità – che è ben diverso dal titolo abilitativo edilizio, richiesto dall’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia sul presupposto della sua obbligatorietà. E il titolo abilitativo era, in effetti, obbligatorio nel periodo rispetto al tipo di intervento (le variazioni non essenziali), cui si riferisce la disposizione regionale”;
  • anche prima dell’1.9.1967, “vi erano comuni nei quali era obbligatorio munirsi di un titolo abilitativo edilizio, sia sulla base di fonti primarie riferite a territori sismici, sia sulla base di fonti non primarie, che però attingevano la loro legittimazione dalla fonte primaria attributiva del potere regolamentare”.

Pur reputando ineccepibile la linea interpretativa assunta dalla Corte Costituzionale, non possono essere negate le criticità determinate da norme che impongono ora un riesame di procedimenti amministrativi risalenti, con un richiamo a criteri estranei all’epoca di costruzione dei fabbricati.

Si può solo confidare, perciò, in un celere intervento normativo statale che, mutuando gli spunti della l.r. Veneto, consenta di superare i limiti intrinseci della legislazione concorrente delle regioni.