L’impianto di condizionamento dell’aria non deve rispettare la distanza di un metro dal confine stabilita dall’art. 889 cod. civ.

La distanza di almeno un metro dal confine, che l’art. 889, secondo comma, c.c. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e che, di conseguenza, comportino un permanente pericolo di possibilità di infiltrazioni per il fondo del vicino.

Tale norma non è perciò applicabile alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie e agli impianti di condizionamento d’aria: questo il principio espresso dal Tribunale di Bergamo con sentenza del 12.7.2023, n. 1544 (link), così ribadendo, sul tema, un indirizzo giurisprudenziale consolidato.

Nello specifico, parte attrice aveva evocato in giudizio i proprietari delle unità immobiliari confinanti, lamentando (tra l’altro) il posizionamento, da parte di questi ultimi, dei cavi del condizionatore e delle relative unità esterne, in violazione della normativa prevista in tema di distanze.

Rigettando la domanda di condanna dei convenuti alla rimozione ovvero allo spostamento dell’anzidetto macchinario, il Tribunale di Bergamo, richiamandosi ad un precedente del giudice di legittimità (in specie, a Cass., n. 12927/1991), ha disposto che “la distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889 comma 2 c.c. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose, e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni” e che “detta norma pertanto non è applicabile alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie ed agli impianti di condizionamento d’aria, che vanno soggetti alla regolamentazione di cui all’art. 890 c.c. e quindi posti alla distanza che nel caso concreto risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo del vicino”.

Invero, ha poi aggiunto che “l’assoggettabilità dell’impianto di condizionamento al disposto normativo di cui all’art. 890 c.c. comporta che lo stesso debba rispettare le distanze previste dal regolamento comunale, tuttavia non allegato agli atti, nonostante l’onere incombente sulla parte attrice che lamenta il mancato rispetto della disciplina in tema di distanze legali (cfr. Cass., 299/1973); conseguentemente la domanda attorea non può essere accolta difettando l’allegazione di un elemento costitutivo della fattispecie”.

Con la citata sentenza, l’adito Tribunale ha quindi avuto modo di soffermarsi non solo sulla disciplina dettata dall’art. 889, secondo comma, c.c. (a suo avviso erroneamente richiamata in questo contesto), ma anche sul rapporto esistente con la fattispecie regolata dalla norma successiva, inerente alle distanze per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi.

D’altro canto, la ratio su cui si fonda l’esclusione dell’allocazione di un impianto di condizionamento d’aria dall’ambito di applicazione dell’art. 889, secondo comma, c.c. è da rinvenirsi nell’esenzione della fattispecie in esame dalla presunzione assoluta di pericolosità e dall’obbligo di osservanza della distanza minima di un metro dal confine che caratterizza, di converso, l’installazione di tubi d’acqua, gas e simili.

A stabilirlo è stata la Suprema Corte di Cassazione con una pronuncia di pochissimo anteriore a quella oggetto di analisi, secondo la quale “la citata disposizione [ossia l’art. 889, secondo comma, c.c.], alla stregua della quale, per tubi di acqua pura o lurida (cui vanno assimilati i canali di gronda) e loro diramazioni, deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine, si fonda su di una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria” (cfr. Cass., 17025/2023).

In altre parole, per tali condutture, il Legislatore ha tenuto conto della loro potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà contigua, stabilendo, con una valutazione di carattere preventivo, una presunzione assoluta di pericolosità, che prescinde da qualsivoglia accertamento “in concreto”: presunzione, tuttavia, non operante in quei casi – come quello oggetto di pronunciamento da parte del giudice bergamasco – astrattamente riconducibili sotto il cappello dell’art. 890 c.c., che si limita ad un rinvio alle norme contenute nei regolamenti ovvero, in difetto, a quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza (cfr. Cass., 23973/2017).

Il posizionamento degli impianti di condizionamento, ricadendo nell’ambito applicativo di cui all’art. 890 c.c., è dunque soggetto:

a) in prima battuta, alle distanze stabilite nei regolamenti comunali, e,

b) in mancanza, “a quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza (tant’è che, in detta ipotesi, opera meramente una presunzione di pericolosità relativa, superabile ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che, mediante opportuni accorgimenti, può ovviarsi al pericolo).

Da qui, in ragione della configurabilità del montaggio di un condizionatore d’aria nei termini di cui all’art. 890 c.c. nonché della derivata inapplicabilità ad esso delle distanze legali, il respingimento della richiesta di condanna alla sua rimozione nei confronti dei confinanti.