No al consumo di suolo nella traslazione di sedime correlata alla demoricostruzione

Continua la rilettura in senso restrittivo, da parte della giurisprudenza (v., sul tema, l’articolo del 10.2.2023 “Demoricostruzione, la Cassazione penale impone un passo indietro”, link), della nuova definizione di demoricostruzione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/2001 (innovata dal d.l. n. 76/2020, cd. Decreto Semplificazioni).

La norma consentirebbe, infatti, di ricondurre nell’ambito della definizione di ristrutturazione edilizia anche gli “interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’installazione degli impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”.

Sicché, non sarebbe inibita la ricollocazione del volume in altro lotto, magari più idoneo dal punto di vista idrogeologico o di visuale oppure ancora di esposizione al soleggiamento naturale.

Invece, il Tar Sicilia, Palermo, sez. II, con la sentenza del 20.7.2023, n. 2409 (link), ha ritenuto di dover limitare, in particolare, la facoltà di mutare l’area di sedime, già oggetto in passato di interpretazioni ondivaghe da parte della giurisprudenza.

Nel caso sottoposto al Tar Sicilia, i ricorrenti sono insorti avverso il diniego comunale al rilascio di un permesso di costruire, riguardante un intervento di ristrutturazione edilizia, mediante demolizione di un fabbricato sito in un lotto e la sua ricostruzione – senza incremento di volumetria – su un altro lotto, sito a circa 150 metri di distanza.

Per confermare la legittimità del provvedimento di rigetto, vengono dedotte in sostanza due argomentazioni:

1) La traslazione non potrebbe determinare un maggior consumo di suolo.

E ciò poiché “dalla lettura dei lavori preparatori alla legge di conversione (sulla cui rilevanza a fini ermeneutici, cfr. Corte cost., 14 giugno 2022, n. 147; ibidem, 8 luglio 2020, n. 143), emerge che la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione è finalizzata a un intervento su un’area il cui suolo è già stato consumato dall’esistenza di un edificio.

Come affermato, più nel dettaglio, dalla relazione al disegno di legge di conversione (D.D.L. n. 1183 del Senato), l’obiettivo degli interventi di cui al D.L. n. 76/2020 in materia edilizia è stato quello di consentire la “rigenerazione urbana” e di scongiurare, pertanto, il consumo di nuovo suolo, anche tramite il riuso di suoli già urbanizzati.

È, allora, alla luce di tali considerazioni che va inquadrata la ratio della ristrutturazione della demolizione e ricostruzione con diversa area di sedime: la modifica normativa non ha affatto inteso ricomprendere in tale fattispecie il – diverso caso – della demolizione di un edificio sito in un luogo, da ricostruire in un luogo del tutto diverso (più o meno distante dal primo); essa, piuttosto, ha ampliato la possibilità di riutilizzare, anche in modo particolarmente ampio, il suolo già consumato.

Diversamente opinando, andrebbe quasi a svanire il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova edificazione [si rammenta che quest’ultima tuttora ricomprende, senza distinzioni, la costruzione di manufatti edilizi fuori terra ex art. 3, co. 1, lett. e.1), D.P.R. n. 380/2001]; distinzione che, invece, rimane ferma anche nel sistema definito dalle recenti modifiche al testo unico dell’edilizia.

2) La ristrutturazione non potrebbe prescindere da una traccia di una costruzione preesistente.

Dovrebbe, allora, “considerarsi tuttora valida la distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, più volte delineata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di individuare la ristrutturazione in una serie di interventi rivolti a trasformare organismi edilizi e la nuova costruzione in una trasformazione del territorio non caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto; con la conseguenza che il concetto di ristrutturazione non può ontologicamente prescindere dall’apprezzabile traccia di una costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo e fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla nuova edificazione, atteso che la ristrutturazione è strumentale alla sempre più avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo (Cons. St., sez. IV, 12 maggio 2022, n. 3750 e giurisprudenza ivi richiamata).

Non vi sono, in altre parole, ragioni per discostarsi dall’orientamento già espresso dalla giurisprudenza amministrativa in un caso simile a quello di cui all’odierna controversia. In tale occasione è stato chiarito, seppure in vigenza della pregressa normativa (che, sul punto, non risulta – come si è visto – sostanzialmente mutata), che la ristrutturazione edilizia non ricomprende la fattispecie della traslazione dell’edificio ricostruito su un’area diversa da quella in cui insisteva l’immobile demolito (Cons. St., sez. IV, 4 febbraio 2021, n. 1047)”.

Mentre la prima considerazione appare ad onor del vero condivisibile, la seconda si pone viceversa in plateale contrasto con la norma.

D’altro canto, già la Circolare del Ministero Infrastrutture e Trasporti e del Ministero per la Pubblica Amministrazione del 2.12.2020 (link) aveva chiarito come “la novella apportata alla definizione dal decreto – legge n. 76/2020 determina, con tutta evidenza, il superamento” delle limitazioni adombrate dalla precedente giurisprudenza, intesa ad assicurare che “il nuovo edificio dovesse porsi in sostanziale continuità con quello preesistente, conservandone le caratteristiche planivolumetriche e architettoniche”.

Pertanto, se può essere reputato corretto impedire la traslazione del fabbricato in un lotto con suolo non consumato, non può essere ripristinato però il divieto generalizzato di mutare l’area di sedime, invocando l’esigenza di mantenimento di una “traccia della costruzione preesistente”, malgrado la nuova disciplina ammetta ora il venir meno di quella “continuità” con il fabbricato preesistente che tanto aveva frustrato in precedenza le potenzialità della demoricostruzione quale strumento principale della rigenerazione urbana.