La Suprema Corte, con la recente pronuncia n. 370/2020, pubblicata il 9.1.2020, è tornata ad esprimersi in tema di rilevanza penale degli interventi edilizi abusivamente realizzati in zone assoggettate a vincolo paesaggistico.
Nel dettaglio, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi promossi avverso le pronunce di condanna del Tribunale e della Corte Territoriale dai proprietari di immobili siti in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, nonché alla disciplina per le costruzioni in zone sismiche, che avevano realizzato taluni interventi edilizi senza il previo ottenimento del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica e in assenza di comunicazioni ai competenti uffici regionali.
Le opere oggetto di contestazione risultavano integrate, nello specifico, dalla chiusura, mediante una vetrata, di un manufatto autorizzato – la cui vista sarebbe stata comunque occlusa da una muratura preesistente – e dalla realizzazione di vani interrati.
I ricorrenti, nel principale motivo di censura, avevano negato la effettiva offensività degli interventi abusivi muovendo dal presupposto che il bene tutelato dalla disciplina paesaggistica contenuta nel d. lgs. n. 42/2004 sarebbe «il valore “visivo”» inteso come «l’incidenza sul paesaggio delle opere realizzate, la quale, se non sussistente come nel caso di specie», configurerebbe «una mera violazione formale del tutto irrilevante», con la conseguenza che non avrebbe potuto dirsi integrato il reato paesaggistico contemplato dall’art. 181, d. lgs. n. 42/2004.
La Corte di Cassazione, dopo aver richiamato l’operatività del principio di offensività, e all’esito di un’ampia disamina in ordine all’evoluzione del concetto di «paesaggio», ha confutato tale argomentazione affermando che «l’assenza di una visibilità esteriore non esclude la sussistenza della violazione paesaggistica».
È stato così ribadito che il reato previsto dall’art. 181, d. lgs. n. 42/2004 si configura anche nell’ipotesi di edificazione senza titolo nel sottosuolo di aree vincolate, dal momento che, nell’ambito dei reati di pericolo – quale quello in esame – rileva la sola attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene giuridicamente tutelato, vale a dire, il «paesaggio».
E, alla luce della complessa nozione di «paesaggio», inteso – secondo l’attuale formulazione legislativa – come «territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni», deve escludersi che la violazione paesaggistica possa essere ravvisata unicamente allorché l’abuso sia visibile.
Il che ha condotto i Giudici della Terza Sezione Penale a concludere che, «ai fini della configurabilità del reato paesaggistico, non assume alcun rilievo l’assenza di una possibile incidenza sul bene sotto l’aspetto attinente al suo mero valore estetico, dovendosi invece tener conto del rilievo attribuito dal legislatore alla interazione tra elementi ambientali ed antropici che caratterizza il paesaggio nella più ampia accezione ricavabile dalla disciplina di settore».